L’autore di “Nel corridoio della notte” racconta se stesso, la sua evoluzione e la frenesia macabra che determina la dimensione caratterizzante le sue storie horror.
S.C. – Ciao Salvatore, benvenuto sul blog di Horti di Giano! Raccontaci come nasce la tua passione per le storie horror!
S.N. – La passione per le storie horror nasce con me, credo sia un’inclinazione naturale; leggevo libri del terrore (per ragazzi) e guardavo film horror già da bambino — nonostante questo significasse spesso dormire con la testa sotto le coperte o non dormire affatto —, e ho scritto il mio primo racconto a 11 anni. L’Ignoto, soprattutto nelle sue manifestazioni più contorte e aberranti, mi ha sempre affascinato, così come mi hanno sempre affascinato le situazioni che creano angoscia, paura, terrore, persino raccapriccio. Esistono passioni pericolose: la mia consiste nell’esplorare di tanto in tanto la zona più oscura e recondita dell’animo umano, dove stanno le paure dell’uomo, per cercare di tradurle in storie che costringano chiunque legga a condividere con me — attraverso i personaggi dei racconti — l’esperienza emotiva di quell’escursione metafisica.
S.C.- Questa è la tua seconda raccolta di racconti horror, la prima, A luce fioca, la abbiamo recensita qualche giorno fa. Come nasce un tuo racconto. Lo sogni la notte e lo studi a tavolino?
S.N. – Direi entrambe le cose. Un racconto non mi viene mai in mente già perfettamente strutturato. Di solito, sono un’immagine, una scena, una situazione a insinuarsi all’improvviso nella mia testa, e ad assillarmi. Quando una di esse mi risulta interessante, comincio a pensare a una trama da cucire intorno a quest’elemento essenziale. Direi che la genesi dei miei racconti è un compromesso tra ispirazione e razionalità.
S.C. – Nel corridoio della notte è il tuo ultimo libro, uscito a giugno 2019 per le Edizioni Horti di Giano. Le sue storie horror contengono molti risvolti psicologici: vuoi spiegarci le dinamiche che vivono i tuoi personaggi?
S.N. – I miei personaggi sono persone assolutamente normali, che vivono ordinariamente la propria quotidianità — fatta di lavoro, famiglia, amici — in realtà tranquille, quasi soporifere, dove non accade mai nulla. Ma, all’improvviso, da quella routine giornaliera, così monotona e rassicurante, sbuca qualcosa di terribile, di oscuro, che sconvolge le loro vite e li costringe ad affrontare angoscia, paura, orrore. Riusciranno a salvarsi? Be’, leggete i racconti e lo scoprirete!
S.C. – Il regista horror Ivan Zuccon ha scritto la prefazione di questa raccolta. Ha parlato di “poesia della morte” per i tuoi racconti. Cosa pensi in merito?
S.N. – Ivan Zuccon, che ringrazio infinitamente per aver scritto la prefazione di “Nel corridoio della notte”, ha voluto, a mio parere, sottolineare quanto l’orrore di cui sono impregnati i racconti del libro non sia spesso esplicito, senza filtri, ma velato, suggerito; ed è risaputo che la poesia (della morte, nel mio caso) è tanto più polisemica, ambivalente, quanto più utilizza un linguaggio sbiadito, indefinito.
S.C. – Rocca Piscopo. Compare in alcuni dei tuoi racconti, staccati però tra loro. Vuoi parlarci di questo bizzarro paese?
S.N. – Rocca Piscopo è una città immaginaria, quasi cinquanta chilometri a sud di Roma, dove ho ambientato diversi dei miei racconti. Poiché per scrivere delle storie horror c’è bisogno di ambientazioni ad hoc, ho pensato di crearmene di totalmente mie, inventandomi una città. Una città di provincia, dove la vita scorre ordinaria, ripetitiva; che ha un borgo medievale con in cima una fortezza diroccata, e un lago, immerso nella natura; una città tranquilla… finché qualcosa di diabolico vi si scatena. Rocca Piscopo è il luogo dove solo in apparenza regnano la pace, la tranquillità, l’ordine; è la citta nei cui vicoli, nei cui anfratti, si nascondono terrificanti insidie: orrori latenti, ma che alla fine prorompono nella realtà in cui viviamo, convincendoci che, davvero, tutto è possibile, e dappertutto.
S.C. – Dei cinque racconti presenti nel tuo ultimo libro, quale ti ha lasciato maggior soddisfazione?
S.N. – Di sicuro, Marcellone. Penso che sia uno dei miei racconti più ispirati e introspettivi. Tra l’altro, l’ho scritto in soli due giorni, in una specie di frenesia macabra.
S.C. – Il tuo rapporto con la letteratura e la filmografia?
S.N. – È un rapporto senza il quale non avrei sicuramente scritto i miei libri. Se da ragazzino non avessi letto i libri Robert Lawrence Stine, autore, tra l’altro, della fortunatissima collana “Piccoli brividi”, sono certo che adesso non saprei tenere nemmeno la penna in mano; se non avessi letto Edgar Allan Poe probabilmente non saprei strutturare un racconto in maniera efficace, e mancherei di fantasia “nera”. Ma la stessa cosa vale per il cinema: se non avessi visto film come “Psycho”, “Profondo rosso”, “La casa dalle finestre che ridono”, la dicotomia quotidianità/orrore, che tanto connota i miei racconti, non mi riguarderebbe. Dovrei ringraziare tanti altri scrittori — Stephen King, Howard Philip Lovecraft, Mary Shelley, ecc. — e molti altri registi — George Andrew Romero, Lucio Fulci, John Carpenter, ecc. —, ma mi limito a citarne solo alcuni per questioni di spazio.
S.C. – Ti ringraziamo per aver concesso questa intervista! Salutandoci, vuoi dire qualcosa ai lettori del nostro blog Horti di Giano?
S.N. – Grazie a voi! Vorrei esortare i lettori di Horti di Giano a continuare a leggere libri e a guardare film del genere. L’horror fa il “lavoro sporco” dell’introspezione: quello, cioè, di sondare il lato più tenebroso della nostra anima per descrivere le emozioni che ne derivano; emozioni negative, certo, ma sempre emozioni, che ci appartengono e ci qualificano come uomini: un’arte che non ne parli, non è che un’arte a metà. Per cui: leggete — e scrivete! — storie horror!
Intervista di Simone Colaiacomo
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